Roster e staff completati, squadra già al lavoro. Per il general manager della Dolomiti Energia Trentino Salvatore Trainotti fare il punto della situazione significa essere già proiettato a una nuova sfida, a un nuovo capitolo. Una nuova stagione.

Salvatore, da general manager per te questa è stata l’estate più difficile di sempre in Aquila Basket?

È stata come sempre un’estate stimolante e di grande lavoro. Abbiamo fatto un cambiamento in un ruolo fondamentale come quello dell’allenatore, ma non è stata una scelta subita, quindi diciamo che siamo arrivati preparati e sereni nell’iniziare un nuovo rapporto.

Parlando della squadra, la percezione è che abbiamo cambiato tanto, ma in realtà partivamo da un’ossatura di squadra ben definita e su quella abbiamo costruito: questa Dolomiti Energia è stata pensata, come le altre, per non mettere limiti e ostacoli alla crescita individuale dei giocatori. Vedremo nei prossimi mesi come tutti i pezzi si metteranno insieme. Sono convinto che le persone in cui credi debbano avere la chance di esprimere al massimo il proprio potenziale. 

Come sta lavorando e come sta crescendo la Dolomiti Energia Trentino versione 2019-20?

Quello che abbiamo fatto negli ultimi due mesi è stato senza dubbio importante, ma il bello inizia ora: per quello che vedo in palestra credo che la squadra abbia già ben chiaro come viviamo la pallacanestro, il livello di attenzione ai dettagli richiesto dentro e fuori dal campo, il giocare e vivere una partita alla volta e un giorno alla volta, il non avere paura di competere.

Questi aspetti si percepiscono vedendo la squadra che lavora e che sta assieme, e in questo la mano dell’allenatore è fondamentale. Con Nicola abbiamo parlato tanto, ci siamo confrontati sia prima che arrivasse a Trento sia dopo che abbiamo iniziato a lavorare insieme: di cultura del lavoro, del dettaglio, della condivisione, del miglioramento individuale quotidiano che non è solo dei giocatori, ma di tutte le persone che fanno parte della società, del management, dello staff. È la mentalità che in questi anni non solo ci ha fatto ottenere risultati, ma ci ha soprattutto fatto crescere.



Quale sarà il motore della crescita di Trento?

L’ambiente di lavoro fa la differenza: spesso si spendono fiumi di parole su come costruire la squadra, pensando a come sarà la chimica tra i giocatori, ma quello che fa davvero la differenza è il dopo, l’ambiente che si riesce a costruire attorno alla squadra. Contano le relazioni che instauri con i singoli giocatori, contano i patti che stringi con loro, il desiderio comune di competere.

Qui a Trento vogliamo trasmettere senso di proprietà. La differenza la fai quando i giocatori sentono loro il progetto, la squadra e la città. È la stessa differenza che sta fra un gruppo e una comunità: un gruppo è composto da persone con gli stessi interessi, in una comunità ci si prende cura gli uni degli altri. In campo e nel resto del Club, la nostra mentalità è questa. In questi anni la nostra spinta più forte, la nostra marcia in più, è stata che giocatori, staff, tutte le persone dentro il Club sentivano la squadra come una cosa propria. Costruire e mantenere questo senso di proprietà è la nostra sfida quotidiana: significa scegliere le persone giuste, non avere paura degli errori, non fare le cose per prendersi gli applausi.


A proposito di risultati, come fa un Club come Trento a non farsi ingolosire e provare a ripetere le finali scudetto o la semifinale di EuroCup raggiunte in questi anni?

La vita come il business sono un gioco infinito. Se ti fermi ad un momento, che sia buono o cattivo, sei destinato a cadere. Se invece vivi giorno per giorno con l’idea di costruire qualcosa, ecco che tutto diventa momento di costruzione per l’istante successivo, per quello che viene dopo: significa essere capaci di vivere ogni momento come importante ma mai come “finale”. Così eviti la presunzione che ti può dare il vincere o lo sconforto delle sconfitte: per ricollegarmi a quello che dicevo prima, capisco quando la gente pensa che si sia chiuso un ciclo e se ne sia aperto un altro, ma per noi non è così. Vedo la vita continua di questo club in cui cambiano i protagonisti, ma non cambia la loro energia e dedizione; il club va avanti, la vita va avanti.


La chiave?

La chiave è cercare le persone giuste. L’importante è “chi fai salire sul bus”. A quel punto poi, se sono le persone giuste, un ruolo lo troveranno. A volte si cercano e si prendono persone e giocatori per competenze, per caratteristiche, ma la cosa di cui si ha bisogno, in realtà, è che siano disposti a voler condividere un percorso. Vi racconto questo aneddoto sul mio primo incontro con Lele Molin: ero molto dubbioso che un allenatore con la sua esperienza di altissimo livello e con il suo curriculum potesse sposare il progetto di Trento. Le sue prime parole furono: “Cerco un percorso da condividere con qualcuno”. A quel punto ho capito che era uno dei nostri, che aveva lo stesso spirito e la stessa cultura sportiva di questo Club: è lo stesso amore e lo stesso piacere di condividere un percorso che porta dentro chi a Trento si trova bene, chi ci è tornato, chi ha fatto rinunce per restare. E più diventiamo grandi, come struttura e come numero di persone coinvolte nel Club, più dobbiamo interiorizzare questa mentalità.

La parte non sportiva del Club è basata sullo stesso principio: abbiamo messo insieme aziende, tifosi, territorio in varie espressioni, portando avanti un sistema basato sulla condivisione di valori . E su questo devi essere deciso, non esistono mezze misure: a volte devi prendere strade che vanno contro il risultato immediato ma che rafforzano il disegno, il lungo termine, l’identità. E come diceva Steve Jobs, non assumi persone di talento per poi dire loro continuamente cosa fare: coinvolgendo caratteri, idee ed esperienze diverse, porti nuove prospettive e visioni. In questi anni siamo stati bravi a crescere mettendo un po’ tutto assieme.


Quanto è importante trasmettere questo “senso di proprietà” anche alla componente non sportiva del Club?

È fondamentale. Cerchiamo di farlo continuamente, lo abbiamo sempre fatto, ed è uno dei motivi per cui siamo cresciuti come budget e come persone coinvolte, in termini di aziende partner e tifosi: non abbiamo un proprietario di riferimento, ma tante persone che in questo momento si sentono proprietarie del club. In questo senso il Consiglio di Amministrazione e gli organi direttivi dei tre soci rappresentano una garanzia di crescita sana del Club.
La nostra solidità oggi passa per questo equilibrio, e la crescita del progetto passa dal desiderio di ognuno di fare qualcosa in più. 

Noi del Club che lavoriamo sul campo invece dobbiamo avere la pazienza e l’onestà intellettuale di fare il massimo con quello che il Club può offrire. Non inteso come lo spendere i soldi che ci sono, questo lo do per scontato; ma fare qualcosa di coerente con il modello del Club. Il giorno in cui qualcuno di noi volesse fare qualcosa di diverso, dovrà avere l’onestà e la forza di abbandonare e cercare nuove motivazioni e nuovi stimoli.



Plausibile pensare di poter alzare ancora il livello?

Risposta semplice: se vuoi alzare il livello devi farlo in ogni ambito. Budget e strutture ci permetterebbero di alzare il valore di quello che facciamo quotidianamente, e il prodotto potrebbe essere migliore. Come si fa? Non vorrei entrare in una logica che non mi piace, che è quella del “ci vuole questo, ci vuole quest’altro”. Noi lavoriamo seriamente e creiamo un programma di lavoro, poi se ci saranno investitori e persone che riterranno valido il nostro progetto, crescerà il budget e arriveranno le strutture.

Pensando a come questo si ripercuota sulla parte sportiva, anche io egoisticamente vorrei poter fare contratti lunghi ai giocatori che arrivano qui, perché sarebbero per il Club un’altra fonte di risorse e solidità, ma oggi per il modello Trento non sarebbe la strada più efficace. Oggi il nostro modello è questo: puntare su giocatori che pensiamo stiano affrontando un percorso di crescita che nel contesto di Trento possa avere un’accelerata. Sappiamo che si può sbagliare e ci prendiamo dei rischi, ma alla fine è proprio questo che ci porta al livello più alto possibile per questa realtà.

Da questo punto di vista come procede il lavoro dell'Academy bianconera? 

Qui dobbiamo fare un importante distinguo fra la nostra Academy e il nostro settore giovanile. L’Academy è un progetto di territorio: in questi quattro anni abbiamo costruito legami e rapporti in profondità nella geografia sportiva arrivando anche fuori regione. Il nostro sogno è che il nostro diventi sempre di più un territorio appassionato di pallacanestro, e l’Academy con il suo programma di affiliazione e con il suo continuo lavoro rende sempre più saldi e più forti questi rapporti. Vogliamo che sempre più giovani e sempre più famiglie si avvicinino alla pallacanestro e allo sport. È così che si costruisce passione autentica anche verso il Club.

Il nostro settore giovanile invece è il luogo dove sviluppare i futuri atleti della nostra prima squadra, o che possano comunque andare a giocare in altre realtà della pallacanestro italiana. Anno dopo anno stiamo cercando di costruire e rafforzare un programma tecnico da Serie A anche per il nostro settore giovanile, provando ad avvicinarci ai grandi progetti di settore giovanile europei. La strada è ancora lunga ma passo dopo passo e con pazienza ci arriveremo. 

Aggiungo un concetto per me fondamentale: obiettivo di un settore giovanile dovrebbe essere formare professionalità a 360° per la pallacanestro. Mi spiego: l’obiettivo è sviluppare non solo buoni giocatori, ma anche buoni allenatori, buoni dirigenti, buoni arbitri, buoni giornalisti, ecc ecc. Usiamo la cultura dello sport, del basket e del Club per aiutare le persone ad affermarsi anche in altri 
ambiti. Una cosa di cui vado orgoglioso è vedere tanti giovani cresciuti in Aquila Basket che oggi hanno professionalità di alto livello, nel basket e fuori. 

Come vedi la prossima stagione a livello generale?

Sono ottimista perché sento che con il ritorno di alcune squadre di grande tradizione e con il coinvolgimento di personaggi di grande spicco della pallacanestro italiana, penso a Messina o ai colpi di mercato dei club più importanti, il valore del campionato è cresciuto e ci stiamo riavvicinando ai livelli di qualche anno fa quando eravamo una Lega di riferimento. C’è consapevolezza da parte di tutti che remando nella stessa direzione ci possiamo guadagnare tutti.

Per dare ancora più identità e visibilità al nostro campionato, servirebbe qualche personaggio in più, magari italiano. Da questo punto di vista sarebbe importante tornare tutti al piacere di lanciare e formare giovani italiani. È un lavoro che non dev’essere delegato solo ai club e non può nemmeno essere legato all’applicazione di obblighi: lo si fa con valori condivisi e con cultura di pallacanestro, che noi italiani tra l’altro abbiamo sempre avuto.

 

 

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